False Partite iva: da lavoratori invisibili a dipendenti riconosciuti. Una guida per uscire dal limbo della subordinazione mascherata

Scopri come tanti dipendenti in partita iva hanno ottenuto il riconoscimento dei propri diritti e quali sono gli strumenti legali per riscattarsi dalla falsa autonomia.

Nel panorama lavorativo italiano, il fenomeno delle “false partite iva” rappresenta una problematica rilevante, configurandosi come un fenomeno che maschera rapporti di lavoro sostanzialmente subordinati sotto l’apparente veste di collaborazioni autonome. In questo articolo analizzo le implicazioni legali e le conseguenze di questa pratica, per fornirti gli strumenti utili per conoscere i tuoi diritti, far valere le tue ragioni e ottenere ciò che ti spetta.

Avendo difeso molti dipendenti in partita iva, in primo luogo, voglio sfatare il mito (purtroppo molto diffuso) secondo cui i lavoratori con partita iva non possono fare nulla per far valere le proprie ragioni, non potendo fare altro che subire silenziosamente e accettare con rassegnazione questa – illegittima – forma di lavoro imposta dal datore di lavoro.

In realtà è vero il contrario: le tutele per le persone costrette a fare i dipendenti in partita iva sono parecchie e altrettanti sono i rischi per le aziende che ricorrono a questo stratagemma pur di non assumere le persone che lavorano alle loro dipendenze. Il lavoratore in partita iva può infatti ottenere un buon risarcimento per quanto subito e la regolarizzazione della propria posizione lavorativa e contributiva.


Per “falsa partita iva” si intende una situazione in cui un lavoratore formalmente inquadrato come lavoratore autonomo è, nella pratica e a tutti gli effetti, un lavoratore dipendente, che svolge – di fatto – un’attività con le caratteristiche tipiche del lavoro subordinato e cioè:

  • orario di lavoro fisso e predeterminato
  • presenza continuativa o stabile presso la sede del datore
  • assenza di concreta autonomia organizzativa
  • retribuzione fissa mensile o periodica
  • esclusività o quasi-esclusività della prestazione per un unico datore.

Quindi, elementi come la presenza di vincoli di orario (anche in caso di lavoro da remoto), l’assenza di una struttura imprenditoriale autonoma del lavoratore, la soggezione alle direttive del datore, una retribuzione fissa e predeterminata, sono indicatori di un rapporto di lavoro subordinato mascherato da collaborazione.

Questi elementi sono rilevanti a prescindere dalla forma contrattuale formalmente adottata. Dunque il dipendente potrà ottenere giustizia a prescindere da quanto indicato nel contratto perché, nel modo del lavoro, la sostanza prevale sempre sulla forma. E quindi, se sei stato formalmente “assunto” come collaboratore e se hai dovuto aprire una partita iva, se – nella pratica – vieni trattato come un lavoratore dipendente, avrai diritto a tutte le tutele del caso. In altre parole: anche se nel contratto c’è scritto che sei un collaboratore e hai una partita iva, se in realtà lavori e sei trattato come un dipendente, hai diritto a essere riconosciuto come tale e, di conseguenza, a ottenere tutti i benefici e le tutele connesse a un rapporto di lavoro subordinato.

Quali rischi corri se sei un lavoratore con una partita iva fittizia?

Se lavori (o hai lavorato) con una falsa partita iva, sei esposto a diversi rischi che impattano profondamente sulla tua condizione lavorativa e personale.

Le conseguenze più gravose per i lavoratori coinvolti in questi schemi lavorativi sono:
– mancanza di tutte le tutele tipiche del lavoro subordinato (ferie, malattia, maternità, TFR, tutele in caso di licenziamento)

  • precarietà lavorativa
  • instabilità economica e reddituale
  • mancanza di tutele previdenziali e contributive
  • difficoltà nell’accesso al credito e alle prestazioni sociali
  • assenza di prospettive di crescita professionale.

Una delle problematiche più rilevanti riguarda l’aspetto previdenziale e contributivo. I lavoratori dipendenti in partita iva subiscono un grave danno in termini di contribuzione previdenziale, poiché i versamenti effettuati risultano spesso insufficienti a garantire una copertura adeguata per il futuro pensionistico. Questi lavoratori, inoltre, devono gestire autonomamente gli oneri fiscali e contributivi, con il rischio ulteriore di incorrere in sanzioni in caso di errori od omissioni.

Sul fronte della sicurezza sul lavoro, i lavoratori autonomi devono provvedere autonomamente all’acquisizione dei dispositivi di protezione individuale e all’adozione delle misure di prevenzione, trasferendo su di loro oneri e responsabilità che normalmente spetterebbero al datore di lavoro. Di fatto, questa situazione espone i lavoratori a rischi significativi per la loro incolumità e sicurezza sul posto di lavoro.
La precarietà occupazionale rappresenta un altro grosso rischio che si riflette anche sulla possibilità di accedere al credito bancario o di pianificare investimenti a lungo termine.

Un ulteriore aspetto critico riguarda l’assenza delle protezioni fondamentali del lavoro subordinato. I dipendenti in partita iva non possono godere di diritti essenziali come ferie retribuite, permessi, malattia, maternità, congedi parentali e altri istituti di tutela sociale, pur trovandosi in una condizione di sostanziale dipendenza economica e organizzativa dal datore. Inoltre, nel momento in cui il datore decide di porre fine al rapporto lavorativo, il lavoratore in falsa partita iva non ha diritto alle tutele previste per i dipendenti (reintegra, indennizzo per licenziamento illegittimo, accesso alla Naspi).

Anche le prospettive di crescita professionale risultano fortemente compromesse. L’inquadramento come lavoratore autonomo preclude spesso l’accesso a percorsi di formazione aziendale, progressioni di carriera e benefit, limitando significativamente le opportunità di sviluppo professionale all’interno dell’azienda.

Quali sono i rischi per le aziende?

Le aziende che ricorrono all’utilizzo di false partite iva per mascherare rapporti di lavoro subordinato lo fanno per eludere gli obblighi e i costi associati all’assunzione di dipendenti. Queste aziende si espongono a rischi estremamente significativi sotto molteplici profili giuridici.

Nel caso in cui il collaboratore con falsa partita iva decida di rivolgersi a un avvocato del lavoro e di agire contro l’azienda, le conseguenze più pesanti per il datore di lavoro possono essere:

  • obbligo di regolarizzazione del rapporto di lavoro
  • versamento dei contributi previdenziali e assicurativi arretrati
  • pagamento di sanzioni amministrative
  • possibili conseguenze penali in casi di particolare gravità.

Per le aziende, quindi, quella che a breve termine sembra un’operazione che garantisce un risparmio, può ben presto rivelarsi estremamente onerosa. L’impresa si espone infatti a un rischio economico molto più alto a causa del probabile risarcimento in favore del dipendente, nonché alle probabili sanzioni.

Cosa devi fare concretamente per tutelarti e far valere i tuoi diritti?


Negli ultimi anni il legislatore ha cercato di contrastare il fenomeno delle false partita iva, introducendo criteri più stringenti per la distinzione tra lavoro autonomo e subordinato e rafforzando i controlli. Tuttavia, se vuoi regolarizzare la tua posizione lavorativa e ottenere ciò che ti spetta, il primo passo deve essere fatto da te, rivolgendoti a un avvocato del lavoro che ti assisterà passo dopo passo consentendoti di ottenere il pieno riconoscimento dei tuoi diritti.

A differenza di quanto si pensa comunemente, i dipendenti in partita iva dispongono di diversi strumenti giuridici per tutelare i propri diritti e ottenere il riconoscimento della natura subordinata del proprio rapporto di lavoro. Le aziende inoltre temono molto azioni di questo tipo da parte dei collaboratori perché sono ben consapevoli del lavoro sporco fatto e delle conseguenze economiche e sanzionatorie cui possono andare incontro.

Il primo passo da fare è quello di raccontare al tuo avvocato del lavoro la tua situazione al fine di capire se ci sono gli estremi per poter procedere. L’avvocato può anche consigliarti quali elementi raccogliere per poter dimostrare la natura subordinata del rapporto di lavoro. Preciso comunque che questa fase di raccolta delle prove, per quanto opportuna, si rivelerà utile solo nel caso in cui si dovesse arrivare a una causa contro l’azienda.

A questo proposito un altro mito da sfatare, che purtroppo spesso scoraggia moltissime persone e impedisce di agire, è quello secondo cui è indispensabile fare causa per far valere i propri diritti. Al contrario, bisogna sapere che non è sempre necessario rivolgersi al Tribunale, anzi questa è solo una fase eventuale e sempre più rara perché oggi la maggior parte delle controversie di lavoro si risolvono prima, grazie a un accordo tra le parti.

La prima azione dell’avvocato è quella di inviare una lettera all’azienda per contestare quanto avvenuto nel corso del rapporto di lavoro e chiedendo il pagamento delle somme dovute. Di solito a questa lettera fa seguito una risposta da parte del legale dell’azienda e, se ci sono gli estremi, si apre una trattativa che può portare a un accordo in tempi ragionevoli, senza bisogno di fare una causa, ed evitando le relative lungaggini.

Ma cosa spinge un’azienda a voler trovare un accordo e a riconoscere un importo economico in favore del dipendente in partita iva?

L’azienda che ti ha “assunto” con partita iva è perfettamente consapevole dell’errore fatto nella gestione del tuo rapporto di lavoro e ha quindi tutto l’interesse a evitare una causa molto rischiosa che può avere un impatto economico notevole nel bilancio, tenuto conto che oltre il risarcimento economico in favore del dipendente ci possono essere diverse sanzioni e il pagamento delle spese legali del dipendente.

Le condizioni che si possono ottenere grazie a un accordo sono diverse e variano da caso a caso, ma in linea di massima, il lavoratore può ottenere il pagamento delle somme che avrebbe percepito se fosse stato assunto in maniera corretta, e quindi il versamento degli importi pari alla retribuzione prevista dal contratto collettivo per i dipendenti, al tfr, alle ferie non godute, il riconoscimento dei contributi non versati e il risarcimento dell’eventuale danno.

L’importanza di ricevere un supporto professionale

Come detto, a differenza di ciò che si pensa comunemente, i lavoratori in falsa partita iva hanno diverse possibilità per porre fine a questa situazione ingiusta e illegittima. Con il supporto di un legale, possono far valere le proprie ragioni e ottenere ciò che gli spetta (risarcimento economico, adeguamento della posizione contributiva, regolarizzazione del rapporto).

Molte persone mi hanno chiesto se possa essere conveniente essere “assunti” con partita iva dato che l’azienda che li vuole a bordo ha proposto questa soluzione. Premesso che ogni caso è unico e merita una valutazione concreta, in linea generale posso dire che raramente ai lavoratori conviene cedere alla richiesta del datore e lavorare in partita iva. In alcuni casi il lavoratore potrebbe farsi ingolosire da una retribuzione più alta ma il vantaggio è solo apparente, soprattutto in un’ottica di medio e lungo periodo.

Inoltre, le aziende che ricorrono a questi stratagemmi, raramente offrono ambienti di lavoro sani e virtuosi. Proporre a un nuovo dipendente questa forma di lavoro rappresenta un pessimo biglietto da visita per un’azienda. Quindi se stai valutando di iniziare un percorso professionale del genere ti consiglio di pensarci bene e di consultarti prima di intraprendere un progetto che potrebbe rivelarsi antieconomico e rischioso. Se invece ti trovi già dentro questa realtà lavorativa, ti consiglio di chiedere supporto a un avvocato del lavoro in modo da porre fine a questa forma di sfruttamento.

Il lavoro dipendente in partita iva non è una condizione definitiva a cui rassegnarsi. È una situazione professionale ingiusta che coinvolge migliaia di persone ma, come dimostra la prassi quotidiana, molti lavoratori sono riusciti a ottenere il riconoscimento dei propri diritti attraverso un’assistenza legale qualificata. Ogni giorno che passa senza agire rappresenta una perdita in termini di contributi, tutele e diritti che potrebbero essere compromessi dato che i crediti previdenziali e contributivi si prescrivono in 5 anni.

Purtroppo queste situazioni non si risolvono mai da sole e la paura e l’incertezza possono portarti a rimanere bloccato per mesi, o molto spesso anni, in una situazione dalla quale non sembra esserci via d’uscita. La consulenza di un avvocato del lavoro può fare la differenza tra subire passivamente una condizione di sfruttamento e farsi valere e ottenere il pieno riconoscimento dei propri diritti, con tutti i benefici economici e previdenziali che ne conseguono. Già dopo una prima consulenza la situazione ti sarà più chiara e potrai comprendere meglio la tua situazione e le tue possibilità di tutela. Il diritto è dalla tua parte.

Fonte immagine: PxHere

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