Il mobbing sul posto di lavoro rappresenta una tematica di grande interesse ed attualità, che coinvolge diverse discipline, quali il diritto, la medicina e la sociologia. Nonostante il legislatore non abbia previsto una specifica disciplina in materia di mobbing, il diritto del lavoro oggi riconosce tale fattispecie giuridica e prevede un regime di tutela in favore delle vittime di questa forma di violenza psicologica, che influisce in maniera incisiva sulla sfera personale e psicofisica del lavoratore.
Il termine mobbing deriva dal verbo inglese to mob (“accerchiare”, “attaccare”, “molestare”) e può essere definito come l’insieme di comportamenti ostili e vessatori posti in essere da una o più persone ai danni del lavoratore, tali da ledere la sua dignità e il suo equilibrio psicofisico e da generare forme di prevaricazione o persecuzione psicologica.
Il mobbing sul posto di lavoro può causare alla vittima disagi a livello esistenziale e malessere psicologico e la costringe ad affrontare una condizione di impotenza e soggezione nei confronti dell’autore delle condotte persecutorie.
DIVERSE TIPOLOGIE DI MOBBING SUL POSTO DI LAVORO
A seconda dell’autore (il c.d. mobber) delle condotte lesive, il mobbing si distingue in due categorie:
Le azioni vessatorie che integrano l’ipotesi di mobbing possono concretizzarsi in atti, parole e scritti e possono assumere le forme più disparate, quali, a titolo esemplificativo:
È bene evidenziare che anche azioni di per sé lecite possono configurare la fattispecie di mobbing, quando vengono poste in essere al solo scopo di vessare e umiliare il lavoratore.
COME INDIVIDUARE IL MOBBING
Affinché si possa giuridicamente individuare una fattispecie di mobbing, le condotte vessatorie devono verificarsi nell’ambiente di lavoro in maniera prolungata nel tempo e gli atti persecutori devono essere posti in essere con il preciso scopo persecutorio ai danni del dipendente. Inoltre, le azioni moleste devono aver cagionato alla vittima disturbi psicologici di varia natura, quali ad esempio, stress, disturbi di ansia, disturbi relazionali, depressione, attacchi di panico che possono sfociare anche in patologie croniche.
Le conseguenze del mobbing possono ricadere tanto sulla salute della vittima, quanto sul suo patrimonio, cagionando dunque danni patrimoniali e danni non patrimoniali. In relazione alla prima categoria, il lavoratore vittima di mobbing avrà diritto al risarcimento delle spese mediche sostenute in ragione delle molestie subite, nonché al risarcimento degli ulteriori danni provocati dalla eventuale perdita del posto di lavoro. Con riguardo ai danni non patrimoniali, la giurisprudenza ha riconosciuto il diritto della vittima di mobbing al risarcimento del danno esistenziale, del danno morale e del danno biologico.
L’IMPIANTO NORMATIVO E LE TUTELE PREVISTE IN CASO DI MOBBING SUL POSTO DI LAVORO
In mancanza di una disciplina ad hoc che tuteli il lavoratore vittima di mobbing, la norma a cui far riferimento è quella contenuta nell’articolo 2087 del codice civile che prevede un preciso obbligo di sicurezza, dal contenuto molto ampio, a carico del datore di lavoro, tenuto ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei dipendenti. L’art. 2087 impone dunque al datore di lavoro, anche nelle ipotesi in cui non sia prevista una specifica misura preventiva, di adottare tutti gli accorgimenti di prudenza e diligenza, nonché tutte le cautele necessarie affinché venga tutelata l’integrità psico-fisica del lavoratore. Il datore, dunque, ha il dovere di evitare il verificarsi di circostanze stressogene per i propri dipendenti, che possono essere causate da un ambiente di lavoro nocivo ed ostile, e di impedire comportamenti aggressivi e umilianti da parte del personale a danno di altri colleghi.
Qualora ci siano i presupposti per promuovere una causa di mobbing nei confronti di un’azienda, il lavoratore, con l’aiuto di un avvocato del lavoro, può ricorrere al Giudice del Lavoro per ottenere la cessazione dei comportamenti molesti e la condanna del datore al risarcimento dei danni. La causa va impostata scrupolosamente per poter dimostrare la sussistenza dei comportamenti vessatori, i danni subìti e la relativa quantificazione.
Per assolvere tale onere probatorio è opportuno allegare la documentazione medica comprovante lo stato di salute della vittima e la sussistenza delle patologie cagionate dal mobbing e dalle condotte moleste del datore. Oltre le certificazioni del proprio medico di base e la perizia medico legale, è opportuno allegare certificati di altri specialisti quali psicologi o psichiatri.
Il lavoratore, inoltre, ha l’onere di dimostrare la sussistenza del nesso causale tra la condotta molesta del mobber e il danno all’integrità psico-fisica subìto. Sarà onere del datore di lavoro dimostrare di non aver mai posto in essere una condotta di carattere persecutorio o vessatoria ai danni del lavoratore e di aver correttamente adempiuto l’obbligo di sicurezza previsto dall’art. 2087 del codice civile.
Fonte immagine: PxHere
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